venerdì 25 luglio 2014

12 ANNI SCHIAVO

12 anni schiavo: la statuetta più importante, quella come miglior film, e altri due premi Oscar ‘minori’, alla migliore sceneggiatura non originale di John Ridley (tratta dalle memorie di Solomon Northup) e alla bravissima e giovanissima attrice non protagonista Lupita Nyong’o. Eppure non avevo ancora visto questo film, perché leggendone la trama e conoscendo bene lo stile del regista Steve McQueen (omonimo del famoso attore), temevo l’angoscia e il disagio che avrei provato alla fine della pellicola. E così è stato. Diverso da Shame, ma ugualmente shoccante… Solomon Northup è un musicista nero e un uomo libero nello stato di New York. Ingannato da due impostori, viene drogato e venduto come schiavo a un ricco proprietario del Sud agrario e schiavista. Strappato alla sua vita, alla moglie e ai suoi bambini, Solomon si infila in un incubo lungo dodici anni provando sulla propria pelle la crudeltà degli uomini e la tragedia della sua gente. A colpi di frusta e di padroni vigliaccamente deboli e degenerati, Solomon avanzerà nel cuore della più vergognosa parentesi della storia americana provando a restare vivo e a riprendersi il suo nome. In suo soccorso arriverà Bass (Brad Pitt anche tra i produttori non poteva mancare), abolizionista canadese, che metterà fine al suo incubo. Adattamento del romanzo omonimo e biografico di Solomon Northup, di cui il regista britannico adotta i dodici anni del titolo e affida alle didascalie conclusive la battaglia legale sostenuta e persa dall'autore contro gli uomini che lo hanno rapito e venduto, 12 anni schiavo corrisponde perfettamente l'ossessione di McQueen: lo svilimento progressivo del corpo sottomesso alla violenza del mondo. Da più di un anno il cinema americano prova a fare i conti con la mostruosità della schiavitù, e non pochi registi si sono cimentato con questo tema. McQueen decide per la denuncia attraverso una rappresentazione esplicita, esibita, oscena, a lui tanto cara, che mira evidentemente a risvegliare la coscienza intorpidita dello spettatore e non fa sconti a nessuno. Il male è il male e non ci sono possibilità di comprensione, tantomeno di redenzione. La macchina da presa di McQueen, che indugia sulla pelle lacerata dalle continue frustrate sulla nuda schiena della serva Patsey (una straordinaria Lupita Nyong’o, alla sua prima prova d’attrice) con un estremo susseguirsi di dettagli cruenti, vuole lacerarci l’anima. Eppure si sente che manca qualcosa. E a me questa violenza è apparsa più di una volta gratuita. Un uomo disperato cerca di ritrovare la propria libertà, rassegnandosi giorno dopo giorno alla schiavitù, sopportando torture fisiche e psicologiche sulla carne e nell'anima. Il sovraccarico drammatico, la pesantezza dei corpi martirizzati dalla violenza e dai frequenti colpi di scena, che si appagano soltanto nei piani notturni e nelle stasi irreali della Louisiana, finiscono per essere l'argomento privilegiato della sua requisitoria e per trascurarne la dimensione sostanziale. McQueen liquida la complessità del passato e di un sistema abominevole a favore della sua spettacolarizzazione e dei suoi effetti perversi, tutti incarnati dallo schiavista sadico e compulsivo di Michael Fassbender, attore feticcio e interprete per la terza volta del pensiero ossessivo dell'autore. Probabilmente esistono film che, per coscienza sociale, vanno visti “per non dimenticare”. 12 Anni Schiavo è uno di questi, nulla di più.

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