giovedì 19 giugno 2014

MALEFICENT

Sarà la presenza ancora viva del nostro spirito fanciullesco, ma io mi sono goduta lo spettacolo e ho trattenuto il respiro sino alla fine della proiezione, dunque non aspettatevi una recensione ‘tecnica’, si tratta pur sempre di una fiaba e di un film Fantasy. Innanzitutto non è la storia della Bella Addormentata bensì quella di Malefica, la storia di una vittima che, da grande, troverà il modo di superare il male che le è stato inflitto da chi amava e lo farà in una maniera che non ci aspetteremo, rinunciando alla sua vendetta. L’esordio alla regia è di Robert Stromberg, production designer premio Oscar, scenografo di “Alice in Wonderland” e de “Il grande e potente Oz”, che della fedeltà all'immagine originale fa un punto di forza della sua opera, oltre che da una preziosa estetica fantasy, che dona al film una personalità fiabesca e una cornice medievale. Ma la vera magia, la detiene interamente una titanica Angelina Jolie, incarnazione a dir poco perfetta della cattiva disneyana, anche e soprattutto nelle sfumature. La Disney torna a cimentarsi con una fiaba tradizionale, questa volta con un budget mai visto fino ad ora per un film animato. Ciò che può invece lasciare perplessi, è la trasformazione di una figura nata per incutere il terrore (perpetrata per giunta sulla pelle di un’innocente neonata), in una fata madrina dai tratti elegantemente dark, prudente e affezionata, a tratti sexy ed anche spiritosa. Ma la variazione ci piace e ci convince. Nella volontà della casa di produzione c’era sicuramente l’intento di non spaventare troppo un pubblico di minori sempre meno abituati a fare i conti con le brutture del mondo, ma insistere invece proprio nella dualità che il personaggio originale portava con sé: terrificante eppure così affascinante. La fantasia tipica delle fiabe della matrigna (o fata) cattiva, che serve a preservare intatta l'immagine positiva della madre, qui viene riunita in un'unica figura, ed è proprio riconoscendo questa compresenza che Aurora lascia l'infanzia per scegliere consapevolmente il proprio destino. Anche le fiabe si evolvono. Film Per tutti.

venerdì 6 giugno 2014

GRACE DI MONACO

Presentato in anteprima alla 67esima edizione del Festival del Cinema di Cannes come film d’apertura, Grace di Monaco, è stato accompagnato da numerose polemiche, sia dal punto di vista produttivo che dalla famiglia Grimaldi. Il produttore cinematografico ha definito la pellicola come “terribile”, ordinando un secondo montaggio e minacciando di non far uscire il film in America, mentre i figli di Grace Kelly, l'hanno giudicata un ritratto approssimativo e poco veritiero. Nonostante questo, a 32 anni dalla sua tragica scomparsa, il francese Olivier Dahan ha portato sullo schermo la storia di una delle più grandi icone dell’era moderna, scegliendo un anno particolare nella vita di Grace Kelly, il 1964, anno in cui la Principessa si trovò a un bivio cruciale: da un lato il suo mentore Alfred Hitchcock le offriva il ruolo della vita (ovvero la ladra bugiarda e frigida di Marnie), e dall’altro la sua famiglia e il principato di Monaco rischiavano di perdere tutto a causa di difficoltà diplomatiche con la Francia. Diva dall’elegante bellezza, musa e icona del maestro del cinema Alfred Hitchcock (che la definì “ghiaccio bollente”); premio Oscar a soli 26 anni, partner sullo schermo e nella vita di attori come Cary Grant e Clark Gable; icona di stile (tanto da meritarsi una borsa che porta il suo nome dalla casa francese Hermès - beata lei!) e infine sposa del principe Ranieri di Monaco: la vita di Grace Kelly è realtà che supera la finzione e non può non far gola a chi ama i racconti biografici. A interpretare Grace è Nicole Kidman, che per il ruolo si è immersa nella vita della principessa per ben cinque mesi studiandone ogni dettaglio (dalla postura al modo di parlare e camminare) e leggermente sgonfia del botulino a cui ci aveva abituato, è riuscita a portare con maestria ed eleganza gli sfavillanti abiti di Grace, perfetti e impeccabili così come la ricostruzione degli oggetti di scena e le splendide location, tra cui il Palazzo Reale di Genova. Ad affiancare la Kidman ci sono un apprezzabile Tim Roth, nel ruolo di Ranieri, un’affascinante Paz Vega, che interpreta una moderna Maria Callas, e Frank Langella, chiamato a raffigurare Padre Tucker, prete americano confidente della principessa. Di solito amo i film ispirati alle biografie, alle belle storie di vita ma nel film di Dahan ci troviamo di fronte ad un film di finzione e non un biopic (dalla contrazione di biographic picture, appunto film biografico) e la vita già da romanzo di Grace Kelly viene trasformata in un thriller di spionaggio, in un film su colpi di stato e in un dramma domestico. Eppure c’era così tanto da raccontare su di lei, mi chiedo perché ingarbugliare la storia a suon di politica e drammi famigliari irrisolti. La principessa sembra una figura a metà tra la Signora in giallo e una miss di un concorso di bellezza che grazie ai suoi discorsi sulla pace e sull’amore salva intere nazioni. La regia che indugia con insistenza sul volto della Kidman (non so a che scopo), la fotografia da fiction televisiva e la riduzione a semplici macchiette di figure storiche di spicco come Maria Callas, Alfred Hitchcock e Charles De Gaulle non aiutano la causa e rendono il tutto un po’ uno spaccato di un giornaletto di gossip dal parrucchiere. Che peccato!