giovedì 15 ottobre 2015

INSIDE OUT - Emozioni fuori di mente



INSIDE OUT, ultima deliziosa fatica della PIXAR, è un film delicato e ironico, permeato di quella gioiosa leggerezza infantile che commuove, ma assolutamente profondo da scavare con sapiente maestria e toccanti pillole di magia, negli abissi della mente di una bambina di 11 anni.
Riley è una ragazzina felice: vive con i suoi genitori nel Minnesota, si divide tra l’amica del cuore e l’hockey, insomma nulla sembra turbare la sua quotidianità, fino a quando la sua famiglia non sarà costretta a trasferirsi a San Francisco, gettandola nello sconforto totale.
Quello che avverrà nella roccaforte - non ancora salda - delle sue emozioni è tutto una rocambolesca scoperta e una meraviglia per noi spettatori.
Ci vuole davvero una fertile potenza d’ingegno e un raro talento creativo, per dare voce e corpo alla Gioia, alla Tristezza, alla Rabbia, alla Paura e al Disgusto e farli diventare (coraggiosamente) i veri protagonisti della storia, davanti a una consolle dei sentimenti sempre in bilico tra fazioni opposte e con un realismo impressionante.
Joy: solare, positiva e coraggiosa è la leader indiscussa del team (quella che preme i pulsanti per intenderci) ma se la deve vedere con Anger, sempre pronto a litigare, o con Fear, impaurito e inerte, o con Disgust sempre svogliata e infastidita, e ancor di più si trova a combattere con la radicata malinconia di Sadness, che inevitabilmente sembra remare contro l’energia del gruppo.
Il loro equilibrio verrà messo a dura prova dal cambiamento, dal subconscio, dai sogni, dal pensiero astratto, dal turbamento causato dalla fase di assestamento che sta vivendo la nostra giovane protagonista. Nel cammino alcuni ricordi resisteranno, altri spariranno risucchiati da un'aspirapolvere che nel fare il "cambio di stagione" deve dare spazio al nuovo.
Riusciranno i nostri Action Heroes dell'emotività a trovare una soluzione?
In questo difficile percorso non mancheranno incontri bizzarri con personaggi preziosi come Bing Bong (gatto, elefante e delfino insieme), una creatura immaginaria generata dalla fantasia: rosa e soffice come zucchero filato, guiderà Joy e Sadness dentro i sogni e gli incubi di Riley, sino a farsi da parte al momento opportuno. I tratti dei personaggi sono realizzati in maniera così efficace che già dalla locandina è possibile  coglierne subito la natura: non a caso Tristezza (Sadness), è blu, tonda e occhialuta, ma talmente goffa e simpatica che alla fine non potrete che adorarla.
La sua resistenza alla felicità, la sua pigra indolenza, sono solo apparentemente d’intralcio ma ci danno la misura di quanto sia importante essere (anche) tristi per poter vedere le cose da una prospettiva diversa.
Trovare un senso a ciò che ci fa soffrire è necessario e fa parte del processo personale di crescita, così come è impossibile nascondere la propria infelicità e tentare di soffocarla, prima o o poi farà sentire la sua voce.
Il senso del film è proprio questo, incoraggiare il pensiero positivo: nonostante la vita ci metta a volte a dura prova, non bisogna mai perdere la speranza perché prima poi Joy tornerà a prendere in mano i comandi. E Sadness sarà la sua più potente e fedele alleata.

venerdì 5 giugno 2015

YOUTH - LA GIOVINEZZA



I film di Sorrentino sono così: si esce dalla sala costernati, come quando ci si sveglia bruscamente da un sogno popolato da personaggi eccentrici, la cui esistenza sembrerebbe alquanto insignificante; vanno  metabolizzati a lungo e rivisti almeno un paio di volte, per godere a pieno di tutte le sfumature e per ascoltare con attenzione i dialoghi apparentemente insensati.
“Le emozioni sono sopravvalutate” afferma il protagonista, e lo sono così tanto da farle fuori dalla propria vita…ma è davvero così?
Fred Ballinger (interpretato dal bravo e longevo Michael Caine) è apatico e annoiato quanto Jep Gambardella: direttore d’orchestra in pensione, è un uomo che non ha più interesse per nulla, guarda indietro al passato ma nello stesso tempo lo rifiuta; non ha voglia di tornare a dirigere, respinge ogni proposta di scrivere, non ha un bel rapporto con la figlia (un simpaticone insomma). Dall'altra parte della barricata invece, il caro “vecchio” amico di sempre Mick Boyle (Harvey Keitel), un anziano regista ancora in cerca di consacrazione, aggrappato saldamente al passato, forse anche troppo. E poi tanti personaggi che si ritrovano in un lussuoso albergo di budapestiana memoria ai piedi delle Alpi, a vivere il proprio tempo con leggerezza, la stessa leggerezza, che in fondo, si farà mal di vivere e perversione.
Gli ospiti che abitano questo set onirico sono lì proprio per restituirci il senso delle emozioni: il potere del desiderio che permette al monaco tibetano di liberare la sua testa dalle leggi della fisica, la nostalgia per il passato del più grande calciatore della storia (un finto e se possibile ancor più sfatto Diego A. Maradona); un intenso Paul Dano nei panni del tormentato Jimmy Tree, il divo di supereroi che viene screditato da una tagliente e infinitamente bella Madalina Ghenea (Miss Universo); una figlia impegnativa, Lena, interpretata da un'ammaliante Rachel Weisz che, come tutte le donne ferite dall’amore, non aspetta altro che di lasciarsi andare nelle braccia di un campione di free climbing. Insomma ognuno cerca a suo modo uno spiraglio di felicità.
Youth è un film sulla la sacralità della giovinezza perché elogia la vecchiaia come un tempo maturo, un omaggio scomodo alla nostalgia che ogni tanto ti viene a cercare e ti obbliga a riflettere, sul tuo passato e sui giorni che restano. Anche in questa pellicola lo stile sorrentiniano è inconfondibile: onirico, visionario, barocco, irrimediabilmente lento e alla fine ineluttabilmente triste. O lo ami o lo odi, non ci sono vie di mezzo. I suoi frame sono quadri, o ti struggono e lasciano il segno o ti lasciano indifferente, è inutile discutere sulla mancanza di trama e sulla debolezza del soggetto. Non è questo il punto. Il punto è che la musica irrompe sulle scene, quasi quanto è dirompente la fotografia. E che un padre e una figlia riescono a dirsi quello che non si sono mai detti. Il punto è che il talento visivo del regista è indiscutibilmente suggestivo. “Tutto dipende da come metti il cannocchiale. Da che lente usi per guardare il mondo”. Lo stesso vale per questo film, usate tutti i vostri sensi e lasciatevi guidare. Vi piacerà.

mercoledì 4 febbraio 2015

EXODUS - DEI E RE



Christian Bale, per me è l'attore del secolo: camaleontico, eclettico, intenso, può interpretare qualsiasi parte in maniera eccelsa e restituire dignità ad un prodotto, considerato abbastanza mediocre dalla stampa.
Il film di Ridley Scott, che si ispira (molto liberamente), all'Esodo, il secondo libro dell'Antico Testamento, è un'opera in parte scomposta e disallineata forse con quelle che erano le aspettative che lo volevano come una rivisitazione de ‘I Dieci Comandamenti’, ma d’altro canto un regista opera con un approccio creativo e artistico assolutamente personale, quindi il rischio di esporsi alle critiche cresce maggiormente, man mano che ci si allontana dalla pura imitazione.
Exodus è un kolossal epico e già il genere di per sé fa pensare al peso di un prodotto che non può che essere eccessivo, sfarzoso, ridondante di eventi e fitto di misteri, intrecci, per non parlare poi del femmineo “trucco & parrucco” dei Consiglieri egiziani. 
La prima parte è sicuramente più lenta e descrittiva e racconta la storia di Mosè (Christian Bale) alla corte d'Egitto, amato dal Faraone Seti (John Turturro) e inviso a Ramses (Joel Edgerton), che vede in lui un rivale per la futura ascesa al trono, fino a quando dello sfortunato 'fratello acquisito' non vengono scoperte le vere origini, ebree, e lui viene esiliato nel deserto. Il successivo incontro con Dio, che ha le fattezze di un bambino (cattivello e capriccioso a dire il vero), lo esorterà a tornare in Egitto a reclamare i diritti del suo popolo. 
La seconda parte, invece, è molto più avvincente e senza pause, con un ritmo incessante in cui si passa dalle piaghe d'Egitto che si abbattono in maniera apocalittica sul popolo - in assoluto la cosa più sorprendente del film, che sembra quasi assumere dei connotati horror/catastrofici - alla rocambolesca fuga attraverso le acque del Mar Rosso, culminante in un suggestivo e pericoloso passaggio, al quale il regista affida un'impronta più terrena e realistica scatenata dalle maree e non da un miracolo (cosa che non mi aspettavo). 
Mosè più che un profeta, è un generale, un condottiero tanto carismatico quanto tormentato e pieno di dubbi, che si lascia andare anche a qualche parentesi romantica, che gli concediamo volentieri, considerando la bellezza esotica di Maria Valverde (la sua sposa). 
Il male è sempre vicino, così come la fede incarnata da un bambino, che rappresenta la purezza, la fanciullezza e l’inizio di un percorso che ammette l’esistenza di un dialogo tra l’uomo e Dio. Ritroveremo il “simpatico” fanciullo sul monte Sinai che esorta un ormai anziano eroe a incidere su tavole di pietra le leggi di Dio nei Dieci Comandamenti, mentre gli ebrei continuano il loro cammino. Quando vai a scomodare la Bibbia, qualche critica te la devi aspettare. Coraggiosamente ispirato.

venerdì 30 gennaio 2015

GONE GIRL - L'AMORE BUGIARDO


Questa storia di tradurre i titoli dei film, equivocandone il senso, è proprio una brutta abitudine: il punto focale della storia non è un “amore bugiardo” (che suona anche male) ma una moglie che sparisce misteriosamente e non si fa trovare. Detto questo, non è facile comprendere, se si tratta di una pellicola assurda e inverosimilmente confezionata ad arte, o di una perfetta macchina di genere impersonificata da una diabolica (e bellissima) Rosamund Pike.
Gone Girl, diretto da David Fincher è tratto dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn, subito diventato un best seller e trasposto per il cinema dallo scrittore stesso e devo ammettere che è un thriller ben fatto, ipnotico, dall'atmosfera cupa, dai colori ‘freddi’, diretto magistralmente e ben fotografato nella provincia americana, di cui riproduce vizi e virtù. La storia narra di una giovane coppia trasferitasi da poco  in una piccola cittadina del Missouri da New York, Nick Dunne (Ben Affleck) e la moglie Amy (Rosamund Pike), che stanno  attraversano un periodo difficile, con un matrimonio in crisi per via della difficoltà della donna ad abituarsi alla nuova esistenza e a causa di una vita a due sempre più inesistente. Ben Affleck ‘in ombra’ per gran parte del film, non può che essere un partner perfetto,  con quel suo sguardo perso nel vuoto e questa volta quasi credibile nel ruolo del marito inetto e insensibile. 
Il giorno del quinto anniversario di nozze, Amy scompare e il primo ad essere sospettato della sua scomparsa è proprio Nick che si troverà suo malgrado coinvolto in una fitta macchinazione di eventi.
Amy lascerà in giro un diario fatto appositamente per essere trovato e preceduto da una serie di indizi e  fatti che accuseranno inevitabilmente Nick, sospettato, così, del presunto omicidio della moglie. I media si accaniranno in maniera brutale su questa vicenda e di volta in volta i personaggi diventeranno preda e carnefice, scambiandosi i ruoli; ma chi sia veramente Nick, che non sa quasi nulla della moglie e chi sia Amy che scrive così tanto, non lo sapremo mai nemmeno vicini alla conclusione. Dire poi se si siano mai stati innamorati rimane realmente un mistero. Lo scontato e poco fantasioso tema delle bugie in amore, quello della coppia già fallita che fa finta di non esserlo e, quello dei ricatti i psicologici ed economici che molte volte un partner fa all'altro, sono solo degli spunti da cui partire per ordire un piano di vendetta che solo una mente malata può partorire. Amy non è bugiarda, e Gone Girl non si basa solo su delle menzogne che i due continuavano a dirsi, ma sul fatto che la stupenda e apparentemente perfetta mogliettina di Nick, sia inequivocabilmente una persona malvagia e spietata. E non basta l'assurdo teatro allestito contro il marito, non basta l'omicidio a sangue freddo dell’altro ex fidanzato (omicidio commesso per  tornare a tormentare Nick credendo di averlo nuovamente in pugno), Gone Girl è la storia di una mente disturbata che ha come unico e grande scopo nella vita quello di dominare gli altri e fargli del male. E in questo senso il finale non vi lascerà delusi.. o forse si?! Magnetico e seduttivo.