mercoledì 30 aprile 2014

HER (LEI)

Non si può dire che non sia un film ben fatto e che non abbia raccolto consensi un po’ da tutto il mondo: però mi aspettavo qualcosa di più da una pellicola fresca di Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Non che non lo sia (originale intendo) ma Her (Lei), di Spike Jonze non mi ha convinto. Lui sarà pure un geniale direttore di videoclip, ma dopo essere passato al cinema con Essere John Malkovich, è diventato il re del cinema per gli hipster, quei fighettini non ben identificati che applaudono una fetta di cinematografia nebulosa per gli alternativi “di classe”: l’esteriorità, la forma a dispetto della riflessione critica e il culto dell’estetica vintage (vi rifarete gli occhi con una fanatica fotografia dai colori pastello che invade la quotidianità, con look e arredamenti anni 70 strabilianti).
Boh. Non lo so nemmeno io cosa ho scritto, d’altro canto non so cosa ho visto.
Certo la storia non è così assurda se si pensa all’uso improprio e maniacale che facciamo della tecnologia, ma lo diventa quando i due innamorati (un essere umano e un pc tanto per chiarire le posizioni) si mettono a fare i gelosoni. Il quadro è presto dipinto: in un futuro non molto lontano, dove la tecnologia ha invaso il privato Theodore è un uomo solo, con alle spalle un matrimonio fallito e non riesce più a provare emozioni e stimoli vitali. Incuriosito da una pubblicità, decide di comprare un sistema operativo parlante, progettato per interagire con gli umani nelle attività giornaliere. Lo imposta con la personalità femminile e, ovviamente, se ne innamora. La particolarità di questo nuovo software, però, è quella di essere un’intelligenza artificiale in grado di evolversi e di godere di una sorta di libero arbitrio, rivelando non poche sorprese al nostro triste amante solitario che finirà per capire di non aver fatto un bell’affare. Non si può non riconoscere a Jonze la volontà di affrontare in modo coraggioso un tema complesso come la trasformazione tecnologia (e di conseguenza sociale) che affligge l’uomo contemporaneo, sempre più schiavo e eternamente connesso con software, palmari, smartphone che ne condizionano gli stati d’animo. A questo impianto di partenza, che sembrerebbe più o meno realistico, si aggiunge inoltre l’innegabile bellezza ed eleganza della scenografia, che costruisce un futuro dove geometria e ordine hanno preso il controllo della società (Shangai e Los Angeles sullo sfondo sono tra le poche scelte azzeccatissime). Jonze forse valeva portare al cinema il complesso rapporto tra umano e macchina: ma il suo film, man mano che va avanti, non ne parla affatto. La storia d’amore tra Theodore (un Phoenix bellissimo e convincente) che ad un certo punto vorresti inevitabilmente prendere a ceffoni e il computer con la voce di Scarlett Johansson (a noi ci è toccata purtroppo Micaela Ramazzotti che ha rovinato non poco la resa dialettica) è una normalissima storia d’amore tra due esseri umani, con bisticci, slanci d’affetto e incomprensioni.
Un po’ Sandra e Raimondo del web che litigano del quotidiano. Speri che ad un certo punto LUI rinsavisca, perché è veramente tutto troppo (inverosimile). Invece no. E' più facile rifugiarsi in un facile sentimentalismo, a tratti toccante e coinvolgente certo, ma assolutamente slegato dal contesto e soprattutto pesante da sopportare. Questo, vanifica in partenza, la possibilità di entrare in empatia con l’idea di nutrire dei sentimenti verso un computer. Insomma, Her risulta essere, a mio avviso irrisolto e poco credibile, come il vano e improbabile tentativo di consegnare le proprie emozioni a una macchina.
Se proprio dovete vederlo… almeno in lingua originale.

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