mercoledì 23 aprile 2014

THE GRAND BUDAPEST HOTEL

Dire che Monsieur Gustave è un concierge sarebbe alquanto riduttivo: lui è l’anima del Grand Budapest Hotel, collocato nell'immaginaria Zubrowka. Wes Anderson riesce così bene a ricreare un ambiente talmente visionario e surreale, che subito ti fa immergere nell’atmosfera vintage di quel periodo, in luoghi di cui non saprai mai provare la reale esistenza. Il Corriere della Sera lo ha definito “la casa di pan pepato della fiaba di Hansel e Gretel”, perché vorresti quasi mangiarlo (non a caso tra i personaggi c’è anche una pasticcera, con una inspiegabile voglia a forma di Messico sulla guancia destra) e io non posso che accogliere questa immagine colorata e fiabesca che caratterizza tutta la pellicola. La storia è più rosa che noir, anche se la trama ruota attorno all’omicidio di una vecchia e ricchissima signora che da in eredità al bel concierge un famosissimo quadro dal valore inestimabile. Il protagonista, Gustave, situato in un magnifico non-luogo raggiungibile da una teleferica (sulla quale vorresti salire subito), nel bel mezzo dell’Europa Centrale e in un’epoca sospesa tra le Guerre Mondiali, sarà arrestato e il suo nuovo “LobbyBoy" (e poi amico) Zero, ci racconterà questa fantastica storia. Ralph Fiennes nei panni di Gustave non può che essere perfetto, impeccabile e raffinatissimo. Il film è dedicato a Stefan Zweig, scrittore austriaco tra i più noti tra gli anni Venti e Trenta: è alle sue opere che il regista ha dichiarato di ispirarsi per questo ennesimo viaggio in un mondo tanto immaginario, qma anche ancorato alla realtà. In questa occasione ai quasi immancabili Bill Murray ed Owen Wilson, si aggiungono Murray Abraham e il mio amatissimo Adrien Brody passando per l'esordiente Tony Revolori (Zero) che, non solo affianca il maniera eccelsa il protagonista (bellissima la imprevedibile storia d’amicizia tra lui e Gustave), ma finirà con il rappresentare l'immigrato costantemente nel mirino di tutti i razzismi grazie anche al suo volto che è un mix di etnie diverse. Questa prospettiva esalta ancora di più la riflessione su quelle frontiere che troppo a lungo in Europa hanno costituito punti di non ritorno per migliaia di persone arrestate e fatte sparire. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanto i personaggi abitati dalla fantasia di Anderson che non sbaglia mai un'inquadratura: paesaggi da cartolina, dialoghi assurdi ma carichi di ironia, improbabili inseguimenti mozzafiato, dosi massicce di pasticceria pura a tratti interrotta da qualche intervento splatter che non ti aspetti, fanno di Gran Budapest Hotel un film da gustare con e in tutti i sensi.

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