martedì 5 gennaio 2016

CAROL



Seduta da sola in Auditorium per l’anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma, ho avuto la fortuna di vedere Carol in lingua originale e di apprezzarlo insieme a tante persone che, come me, non finivano di applaudire alla fine della proiezione. Sono quelle storie che ti rimangono appiccicate addosso anche quando in sala si spengono le luci.
Pensavo di trovarmi davanti all'ennesimo film sull'amore saffico, sulla scia di una tendenza cinematografica ormai più o meno consolidata -  da La vita di Adele a Freeheld -  ma Carol è molto di più. E stupisce in che modo delicato il regista Todd Haynes abbia saputo regalarci uno spaccato femminile impeccabile, che non cerca mai di gridare allo scandalo né tanto meno di raccontare dispute civili o politiche, perché le conquiste di cui parla vanno bel oltre l’ipocrisia dell’epoca e hanno a che fare con la dignità, il coraggio e la forza che solo certe donne meravigliose possiedono.
Acclamato all’ultimo Festival di Cannes dove ha meritato il premio per l’interpretazione di Rooney Mara, il film esce oggi in Italia, proprio alla vigilia dell’attribuzione dei Golden Globes ai quali concorre con cinque nomination ed è ispirato al romanzo The Price of Salt di Patricia Highsmith, pubblicato nel 1952 e naturalmente censurato: un testo che mise a dura prova il perbenismo borghese di quel periodo.
L’incontro fra le due donne è indimenticabile, a pochi giorni dal Natale del 1952, intimo e delicato come quei rari momenti nella vita in cui ci si riconosce negli occhi dell'altro ed il tempo sembra fermarsi: entrambi gli sguardi delle protagoniste si soffermano su un trenino giocattolo che passa oltre le montagne di cartone, in un grande magazzino di una New York fumosa e un po' rétro. Da una parte la sofisticata e apparentemente algida Carol, madre sull'orlo del divorzio, in cerca di un regalo per sua figlia (sposata con un uomo che evidentemente non accetta la sua omosessualità), e dall’altra Therese, giovane e fragile commessa indecisa persino su cosa ordinare a pranzo.
Si osservano, si scrutano, e il regista non ci risparmia le continue riprese sui loro sguardi, ed è proprio appoggiandosi sui loro occhi che percepiamo l'infelicità sorda di Carol, una donna matura ma malinconica, e l'irrequietezza acerba di Therese, unite da un’inconsapevole e coraggiosa sfacciataggine che le farà osare spingendosi ben oltre l'amicizia. E Haynes non smette di mostrarci l’inquietudine e il sapore di questa scoperta, che passa tra le corse in auto e la fuga negli hotel, in un viaggio che ha ben poco di avventuroso e romantico se non il tentativo maldestro di vivere disperatamente l'amore in tutte le sue sfaccettature. E sembra quasi che l'aspetto rilevante non sia la passione per un’altra donna, quanto piuttosto rafforzare la propria dimensione, e portare avanti la lotta che Carol ingaggia con sé stessa, per non perdere tutto pur cercando di restare fedele alla sua audace natura anticonformista.
Volutamente claustrofobico, nel film ciascun personaggio è segnato dal luogo in cui è confinato, Carol nella sua grande villa di un sobborgo benestante, Therese nel suo piccolo appartamento in città, come se le protagoniste non avessero altra vita che quella concessa dal luogo in cui vivono.
Eppure la ricerca spasmodica di un’identità soffocata, l’inesauribile carica emotiva di due donne così diverse eppure così vicine, le porterà ben più lontano di quello che avrebbero sperato, superando ostacoli che sembravano insormontabili e inseguendo passioni e ambizioni che le condurranno su un cammino che  le vedrà protagoniste di un nuovo destino. Troneggia un’intensa e sensuale Cate Blanchett, irrequieta come le sigarette che fuma, in un film elegante e raffinato che trasuda magia e sentimento. Viscerale.

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