Seduta
da sola in Auditorium per l’anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma,
ho avuto la fortuna di vedere Carol in lingua originale e di apprezzarlo
insieme a tante persone che, come me, non finivano di applaudire alla fine
della proiezione. Sono quelle storie che ti rimangono appiccicate addosso anche
quando in sala si spengono le luci.
Pensavo
di trovarmi davanti all'ennesimo film sull'amore saffico, sulla scia di una
tendenza cinematografica ormai più o meno consolidata - da La vita di Adele a Freeheld - ma Carol è molto di più. E stupisce in che
modo delicato il regista Todd Haynes abbia saputo regalarci uno spaccato femminile impeccabile, che non cerca mai di gridare allo scandalo né tanto meno
di raccontare dispute civili o politiche, perché le conquiste di cui parla
vanno bel oltre l’ipocrisia dell’epoca e hanno a che fare con la dignità, il
coraggio e la forza che solo certe donne meravigliose possiedono.
Acclamato
all’ultimo Festival di Cannes dove ha meritato il premio per l’interpretazione
di Rooney Mara, il film esce oggi in Italia, proprio alla vigilia
dell’attribuzione dei Golden Globes ai quali concorre con cinque nomination ed
è ispirato al romanzo The Price of Salt di Patricia Highsmith, pubblicato nel
1952 e naturalmente censurato: un testo che mise a dura prova il perbenismo
borghese di quel periodo.
L’incontro
fra le due donne è indimenticabile, a pochi giorni dal Natale del 1952, intimo
e delicato come quei rari momenti nella vita in cui ci si riconosce negli occhi
dell'altro ed il tempo sembra fermarsi: entrambi gli sguardi delle protagoniste
si soffermano su un trenino giocattolo che passa oltre le montagne di cartone,
in un grande magazzino di una New York fumosa e un po' rétro. Da una parte la
sofisticata e apparentemente algida Carol, madre sull'orlo del divorzio, in
cerca di un regalo per sua figlia (sposata con un uomo che evidentemente non
accetta la sua omosessualità), e dall’altra Therese, giovane e fragile commessa
indecisa persino su cosa ordinare a pranzo.
Si
osservano, si scrutano, e il regista non ci risparmia le continue riprese sui
loro sguardi, ed è proprio appoggiandosi sui loro occhi che percepiamo
l'infelicità sorda di Carol, una donna matura ma malinconica, e l'irrequietezza
acerba di Therese, unite da un’inconsapevole e coraggiosa sfacciataggine che le
farà osare spingendosi ben oltre l'amicizia. E Haynes non smette di mostrarci
l’inquietudine e il sapore di questa scoperta, che passa tra le corse in auto e
la fuga negli hotel, in un viaggio che ha ben poco di avventuroso e romantico
se non il tentativo maldestro di vivere disperatamente l'amore in tutte le sue
sfaccettature. E sembra quasi che l'aspetto rilevante non sia la passione per
un’altra donna, quanto piuttosto rafforzare la propria dimensione, e portare
avanti la lotta che Carol ingaggia con sé stessa, per non perdere tutto pur
cercando di restare fedele alla sua audace natura anticonformista.
Volutamente
claustrofobico, nel film ciascun personaggio è segnato dal luogo in cui è
confinato, Carol nella sua grande villa di un sobborgo benestante, Therese nel
suo piccolo appartamento in città, come se le protagoniste non avessero altra
vita che quella concessa dal luogo in cui vivono.
Eppure
la ricerca spasmodica di un’identità soffocata, l’inesauribile carica emotiva
di due donne così diverse eppure così vicine, le porterà ben più lontano di
quello che avrebbero sperato, superando ostacoli che sembravano insormontabili
e inseguendo passioni e ambizioni che le condurranno su un cammino che le vedrà protagoniste di un nuovo destino.
Troneggia un’intensa e sensuale Cate Blanchett, irrequieta come le sigarette
che fuma, in un film elegante e raffinato che trasuda magia e sentimento.
Viscerale.
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