venerdì 5 giugno 2015

YOUTH - LA GIOVINEZZA



I film di Sorrentino sono così: si esce dalla sala costernati, come quando ci si sveglia bruscamente da un sogno popolato da personaggi eccentrici, la cui esistenza sembrerebbe alquanto insignificante; vanno  metabolizzati a lungo e rivisti almeno un paio di volte, per godere a pieno di tutte le sfumature e per ascoltare con attenzione i dialoghi apparentemente insensati.
“Le emozioni sono sopravvalutate” afferma il protagonista, e lo sono così tanto da farle fuori dalla propria vita…ma è davvero così?
Fred Ballinger (interpretato dal bravo e longevo Michael Caine) è apatico e annoiato quanto Jep Gambardella: direttore d’orchestra in pensione, è un uomo che non ha più interesse per nulla, guarda indietro al passato ma nello stesso tempo lo rifiuta; non ha voglia di tornare a dirigere, respinge ogni proposta di scrivere, non ha un bel rapporto con la figlia (un simpaticone insomma). Dall'altra parte della barricata invece, il caro “vecchio” amico di sempre Mick Boyle (Harvey Keitel), un anziano regista ancora in cerca di consacrazione, aggrappato saldamente al passato, forse anche troppo. E poi tanti personaggi che si ritrovano in un lussuoso albergo di budapestiana memoria ai piedi delle Alpi, a vivere il proprio tempo con leggerezza, la stessa leggerezza, che in fondo, si farà mal di vivere e perversione.
Gli ospiti che abitano questo set onirico sono lì proprio per restituirci il senso delle emozioni: il potere del desiderio che permette al monaco tibetano di liberare la sua testa dalle leggi della fisica, la nostalgia per il passato del più grande calciatore della storia (un finto e se possibile ancor più sfatto Diego A. Maradona); un intenso Paul Dano nei panni del tormentato Jimmy Tree, il divo di supereroi che viene screditato da una tagliente e infinitamente bella Madalina Ghenea (Miss Universo); una figlia impegnativa, Lena, interpretata da un'ammaliante Rachel Weisz che, come tutte le donne ferite dall’amore, non aspetta altro che di lasciarsi andare nelle braccia di un campione di free climbing. Insomma ognuno cerca a suo modo uno spiraglio di felicità.
Youth è un film sulla la sacralità della giovinezza perché elogia la vecchiaia come un tempo maturo, un omaggio scomodo alla nostalgia che ogni tanto ti viene a cercare e ti obbliga a riflettere, sul tuo passato e sui giorni che restano. Anche in questa pellicola lo stile sorrentiniano è inconfondibile: onirico, visionario, barocco, irrimediabilmente lento e alla fine ineluttabilmente triste. O lo ami o lo odi, non ci sono vie di mezzo. I suoi frame sono quadri, o ti struggono e lasciano il segno o ti lasciano indifferente, è inutile discutere sulla mancanza di trama e sulla debolezza del soggetto. Non è questo il punto. Il punto è che la musica irrompe sulle scene, quasi quanto è dirompente la fotografia. E che un padre e una figlia riescono a dirsi quello che non si sono mai detti. Il punto è che il talento visivo del regista è indiscutibilmente suggestivo. “Tutto dipende da come metti il cannocchiale. Da che lente usi per guardare il mondo”. Lo stesso vale per questo film, usate tutti i vostri sensi e lasciatevi guidare. Vi piacerà.

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