mercoledì 28 marzo 2018

OLTRE LA NOTTE



…Una pioggia incessante bagna le strade di una tragica notte ad Amburgo e riga il volto pieno di lacrime di una donna che ha appena assistito alla tragedia più atroce: la morte del figlio e del marito (di origine turca), esplosi nell’ufficio dell’uomo a causa di una bomba. Inizia così l’ultima pellicola firmata da Fatih Akin (non a caso regista tedesco di origini turche) e da quel momento in poi non ci verrà risparmiato nulla del lacerante percorso della protagonista: dall’ingiustizia subita alla giustizia negata, passando per l'inesorabile desiderio di morire e il più vile odio razziale, tutti fardelli che regge sulle spalle una ‘gigantesca’ Diane Kruger, meritandosi a pieno titolo il premio come miglior attrice al Festival di Cannes.

“Katja”, rimane sola a confrontarsi con la giustizia, con uno Stato che non esiste e l'idea della vendetta in mano, che è l’unica cosa che le resta per sopravvivere. La sua non è una storia vera, ma il regista ha fatto riferimento ai brutali fatti avvenuti tra il 2000 e il 2007 in Germania, in cui alcune persone  di origine non tedesca, furono vittime di vere e proprie esecuzioni, per mano di attentatori di estrema destra. Nonostante questo richiamo però, la pellicola non vuole indagare l’aspetto politico o legale della vicenda (sebbene in parte ci si dedichi), né il tema dei pregiudizi morali e culturali, seppur evidentemente presenti nel dipanarsi dei fatti, piuttosto ci fa entrare nella dimensione privata di una famiglia distrutta, che aveva tutte le carte in regola per vivere un presente tranquillo e non dava fastidio a nessuno. Risulta ancora più ingiusto e insensato capire le ragioni di un simile atto, e il senso di rabbia e la frustrazione che pervadono in maniera invasiva tutti e 3 i ‘capitoli’ del film “Famiglia-Giustizia-Mare”, ti rendono partecipe dell’atroce dramma di questa donna, che si tatua il dolore nel corpo e si trascina un giorno dopo l’altro invocando un’acre vendetta, come l’eroina noir di un revenge movie. Il modo in cui terminerà il suo calvario, fa pensare a quanto siamo tutti potenziali giustizieri, se colpiti violentemente nel profondo degli affetti.

Katja è una donna che non ha più scelta: non ha soluzioni né una vita da vivere, non può far altro che accoccolarsi davanti a un mare di ricordi e cercare di affogare il proprio dispiacere in un modo che solo lei può immaginare. Non si può rinunciare all’autenticità di una vita vissuta nell’amore se non con l’atto più terribile (e temibile), ma che in fondo gli perdoniamo perché quella famiglia non c’era già più, distrutta da un odio razziale mediocre e cieco.