…Una
pioggia incessante bagna le strade di una tragica notte ad Amburgo e riga il volto
pieno di lacrime di una donna che ha appena assistito alla tragedia più
atroce: la morte del figlio e del marito (di origine turca), esplosi nell’ufficio
dell’uomo a causa di una bomba. Inizia così l’ultima pellicola firmata da Fatih
Akin (non a caso regista tedesco di origini turche) e da quel momento in poi
non ci verrà risparmiato nulla del lacerante percorso della protagonista:
dall’ingiustizia subita alla giustizia negata, passando per l'inesorabile desiderio di morire e il
più vile odio razziale, tutti fardelli che regge sulle spalle una ‘gigantesca’ Diane
Kruger, meritandosi a pieno titolo il premio come miglior attrice al Festival
di Cannes.
“Katja”,
rimane sola a confrontarsi con la giustizia, con uno Stato che non esiste e l'idea della vendetta in mano, che è l’unica cosa che le resta per sopravvivere.
La sua non è una storia vera, ma il regista ha fatto riferimento ai brutali fatti
avvenuti tra il 2000 e il 2007 in Germania, in cui alcune persone di origine non tedesca, furono vittime di vere
e proprie esecuzioni, per mano di attentatori di estrema destra. Nonostante questo
richiamo però, la pellicola non vuole indagare l’aspetto politico o legale della
vicenda (sebbene in parte ci si dedichi), né il tema dei pregiudizi morali e
culturali, seppur evidentemente presenti nel dipanarsi dei fatti, piuttosto ci
fa entrare nella dimensione privata di una famiglia distrutta, che aveva tutte
le carte in regola per vivere un presente tranquillo e non dava fastidio a
nessuno. Risulta ancora più ingiusto e insensato capire le
ragioni di un simile atto, e il senso di rabbia e la frustrazione che pervadono
in maniera invasiva tutti e 3 i ‘capitoli’ del film “Famiglia-Giustizia-Mare”, ti
rendono partecipe dell’atroce dramma di questa donna, che si tatua il dolore
nel corpo e si trascina un giorno dopo l’altro invocando un’acre vendetta, come
l’eroina noir di un revenge movie. Il
modo in cui terminerà il suo calvario, fa pensare a quanto siamo tutti potenziali
giustizieri, se colpiti violentemente nel profondo degli affetti.
Katja è una
donna che non ha più scelta: non ha soluzioni né una vita da vivere, non può
far altro che accoccolarsi davanti a un mare di ricordi e cercare di affogare
il proprio dispiacere in un modo che solo lei può immaginare. Non si può
rinunciare all’autenticità di una vita vissuta nell’amore se non con l’atto più
terribile (e temibile), ma che in fondo gli perdoniamo perché quella famiglia
non c’era già più, distrutta da un odio razziale mediocre e cieco.